Nuovo piano olivicolo,
dopo gli impegni ora servono i fatti

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Giu 30, 2023 | News

Nonostante l’olivicoltura nazionale sia in agonia da molti anni oggi le mutate condizioni di mercato ovvero i considerevoli aumenti dei prezzi dell'olio extravergine di oliva e la disponibilità di forme di allevamento e mezzi tecnici innovativi consentono di condurre gli oliveti traendone un profitto annuo competitivo con le migliori coltivazioni del centro sud Italia

Dallo scorso 19 gennaio Matera è la capitale europea della cultura per l’anno 2019. Un fatto sicuramente positivo per il nostro Paese e dal quale molti sperano possa partire la riscossa del Sud Italia.
Ci accodiamo all’esercito di speranzosi, nella consapevolezza, però, che senza una pianificazione strategica delle azioni di sviluppo per il Sud la delusione sarà cocente.
Un minimo di buon senso ci porta subito ad affermare che, almeno per quanto riguarda il comparto agricolo, non ci può essere crescita del Meridione d’Italia se non si affronta la crisi del grano duro, con prezzi ormai stabilimente inferiori ai costi di produzione e se non decolla la filiera nazionale olivo-olio extravergine.
E proprio sull’olivo, coltivato su circa 920.000 ettari nel Mezzogiorno (dati Istat 2017), vogliamo concentrarci.

Filiera olivo-olio: decisiva per il sud Italia

Partiamo dai numeri: dal 2015 al 2017 sono state importate oltre 400.000 tonnellate di olio extravergine di oliva all’anno (dati Istat elaborati da Ismea), a fronte di una produzione interna molto variabile: dal minimo storico stimato di circa 200.000 tonnellate del 2018 a un massimo di poco superiore a 300.000 tonnellate.
Positiva la dinamica dei prezzi: dal 2012 al 2018 le quotazioni medie annue di 1 kg di olio extravergine made in Italy sono passate da meno di 3 euro a oltre 6, complice anche la penuria di olive dovuta alle gelate dello scorso anno.
Per cogliere però le opportunità del comparto è necessario un nuovo Piano olivicolo nazionale da studiare e attivare in tempi auspicabilmente più brevi rispetto al precedente del 2016.
Tra i punti fermi del Piano, lo sviluppo della capacità produttiva nazionale deve essere il primo, accompagnato da un’adeguata formazione e divulgazione tecnica per favorire la diffusione di nuove coltivazioni, realizzate secondo criteri di modernità, a partire dai sesti d’impianto, sui quali ancora circolano tra i produttori informazioni confuse, per proseguire con l’irrigazione, la meccanizzazione della raccolta, la professionalizzazione della manodopera in particolare per la potatura, ecc. Si tratta di prerequisiti per rendere competitive le nostre imprese impegnate nell’olivicoltura.
L’altra priorità del Piano deve essere di certo l’aggregazione dell’offerta, anche in cosiderazione della prossima Pac, in base alla quale gli interventi settoriali passeranno dalle organizzazioni di produttori e dalle loro associazioni, chiamate a commercializzare direttamente le produzioni.
Addio, speriamo, alle op di «carta» e, ci auguriamo, alla tradizionale ambiguità delle organizzazioni professionali nei confronti di op e aop, per non parlare della conflittualità tra organizzazioni, evidente anche nelle ultime settimane quando le varie sigle sindacali sono scese in piazza separatamente per rivendicare, tutte, gli interessi dei produttori.
A tal proposito, se da un lato è sacrosanta la richiesta di aiuti per gli olivicoltori colpiti dalle gelate del 2018 e dalla xylella, dall’altro l’attenzione sulla filiera non deve svanire una volta ottenute le risorse finanziarie.
Dopo le parole e gli impegni servono ora i fatti, ovvero i decreti attuativi, gli incarichi operativi e la concertazione con i componenti della filiera per raggiungere anche altri obiettivi: l’innalzamento degli standard qualitativi per l’olio extravergine di oliva a livello di normativa europea e la realizzazione di una campagna di comunicazione che insieme all’indicazione di origine in etichetta possa far emergere il valore aggiunto dell’olio extravergine di oliva italiano.

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