Impiantare nuovi oliveti è una scelta economicamente conveniente e necessaria per l’agricoltura italiana. L’olivicoltura nazionale è in agonia da molti anni. Il motivo è semplice: la redditività è negativa. In Puglia la xylella ha trasformato l’agonia in una morte drammatica. Eppure, i nuovi oliveti hanno una redditività superiore a molte colture alternative, se vengono concepiti con criteri moderni.
Riprendiamo e sviluppiamo questi due scenari controversi dell’olivicoltura: il declino e la convenienza a impiantare.
Le ragioni della crisi
La produzione media dell’olivicoltura italiana negli ultimi anni, cioè dal 2010 al 2018, è diminuita del 33,2% rispetto a quella dei decenni precedenti 1990-1999 e 2000-2009, a fronte di un aumento dei consumi e della produzione a livello mondiale rispettivamente del 42 e del 38% (dati Coi).
L’olivicoltura italiana è morta da tempo. Gli assassini sono tre: i contributi troppo elevati della Pac, la scarsa imprenditorialità degli olivicoltori e l’imbalsamatura giustificata dalla tradizione.
I costi superano ampiamente i ricavi, la redditività è negativa per il 90% degli olivicoltori (dati Rica), l’instabilità del reddito è accentuata dalla bassissima propensione ad assicurare il raccolto, il contrasto alle malattie è gestito in modo occasionale, la gestione dell’oliveto è scarsamente professionale.
Molti oliveti sono abbandonati, o gestiti con la pratica colturale minima per il rispetto della condizionalità prevista dalla Pac.
L’Italia negli ultimi decenni ha enfatizzato la qualità e la tradizione, ma i risultati sono stati deludenti.
Senza quantità, la qualità non basta o basta per mercati di nicchia troppo ristretti. Senza redditività non c’è futuro.
Tornare a fare reddito è possibile
Eppure, accanto a questo scenario declinante, i nuovi oliveti hanno una redditività superiore a molte colture alternative, se concepiti con criteri moderni di gestione, integrata o biologica: incremento della densità d’impianto, gestione professionale del suolo, dell’irrigazione, della fertirrigazione (con approccio sostenibile: risparmio, efficienza dell’acqua e dei nutrienti) e del controllo delle avversità, meccanizzazione adeguata per potatura e raccolta, gestione associata.
In questo modo si possono avere quantità, qualità, tracciabilità di origine, ambiente, paesaggio, territorio e varietà locali.
La redditività dei nuovi oliveti raggiunge mediamente 800 euro/ha, dopo aver remunerato la manodopera.
Irrigazione e innovazione sono fondamentali
Un requisito fondamentale della nuova olivicoltura è l’irrigazione. In Italia bisogna investire nelle reti irrigue; senza irrigazione oggi non è praticabile alcuna coltura.
L’olivicoltura italiana necessita di innovazione, con una «via italiana», non spagnola. Alcuni ricercatori italiani hanno messo a punto l’uso di cultivar locali e l’impiego di tecniche innovative, adatte alle diverse realtà del Paese.
Abbiamo perso 50 anni, ma oggi, con l’innovazione, si può dare gambe a un’olivicoltura di quantità, di qualità, con garanzia di origine, capace di creare fatturato, occupazione e un bel paesaggio.
L’imbalsamatura dell’oliveto è una visione miope; la qualità e la tradizione si mantengono con l’innovazione e la redditività, con modelli olivicoli innovativi e intensivi.
Si deve e si può tornare a piantare olivi.